La forma che vuole rilevarsi ci suggerisce il tempo - Nino la Barbera
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LABIRINTICHE
“La torre di Babele e la superbia, la luna contemplata dai caldei,
le sabbie innumerevoli del Gange, Chuang Tau e la farfalla
che sogna. Sono servite tutte queste cose, perché le nostre mani
si incontrassero….Lungo il corso delle generazioni gli uomini
cressero la notte e la resero madre delle tranquille perchè le
tessano il destino, Clato che fila,lachiesi che fissa, Atropo che taglia.
Parola di Borges! E cosi in avanti, nella spinta di sentieri che non
sono sentieri, di discorsi che sono muti escursioni,nel silenzio,
di volti che guardano se stessi, dentro specchi invisibili volte
del tutto, che trama architetture e nuvole, memorie e proietta,
visioni traslucide, in turbini che alimentano sacche gioiose,
di ogni desiderato mistar di giardini, in selve ,in acque , in
corti divine. Contemplabili sono i suoi riti sacrali, rebus
di viali enigmi rivali sfingesche, che non nuotano mai verso vicoli
e rimangono velati, irraggiungibili seppur trasparenti senza
mai sorridere o piangere, proiettandosi dove nuotano tutti
gli eterni , che sono patabili di tanti, ma sono eretti come
uni che sospendono, il fiato, lo scorrere del tempo, in una
fisica impossibile, perché immaginaria, poetica, sognata nel
sogno, vegliata nella veglia nata nel cuore, a battiti lenti,
ritmati da una musikè, di tutte le muse e risvegliata, cosi,
in pittura, da queste alfabetiche insegue, con cui Nino La Barbera,
inbastisce un atlante, che è un’area senza perimetro, proiettato nel piccolo,
sempre più piccolo, nel grande, sempre più grande. Cosi avviene ,il passo
di Apollo, che pone, scompone, dice, non dice, allude, geometra, inventa
d’ogni ibis, redibis…spostando oratoria , stile, in cetra d’orfeo
e il passo di Zeumizias, che è santo, volto e rivolto, tempesta
dei sensi, orgiastica sfida ai bollori del sangue in coppe fluenti
e altri che stagnano stive di pudrite navi. Riflessi e capovolti bagliori,
rubinetti che figliano botti, che sono vasi pandori, dove ogni cosa,
si mescola e gorgoglia e al pittore,, all’illustre cervello dall’occhio
veloce, che sconta, corteggia, scompone, in un continuo andare verso le
regioni d’ignoto e tornare, moderno Giasone, pieno di velli, carichi d’oro.
Riflessi, si sfidano in una vicenda pittorica impetuosa, dall’aura di
vena barocca, in cui non c’è centro, non c’è periferia, ma tutto si mostra,
inesorabile, come un rizoma, in cui non c’è alcuna possibilità di gelo(filo)
che dia una meta, ed è appunto, in questa condizione di gioco di
specchi, che si complica il punto di vista, che non è una vera, ma è diffusa
su tutta la tavola, inducendo ad un rapporto di immensità gioiosa.
Nel segno , c’è l’uscita dal caos, che è il paradosso del bianco, in
cui tutto si può inscrivere, ma che si presenta con l’inganno di
un ardore, che, invece di essere arcadico e pasquale, si presenta come
un amore di vuoto che spinge alla loquacità dell’attesa alla
espansività del silenzio, proprio nell’attimo in cui spinge il “demone”
fantastico a darsi un compito, un ruolo, che consegue al suo essere, nel tempo.
Nel disegno, si coglie l’impalcatura teatrale delle opere , che non può
mostrarsi visibile, perché essa è la testimone muta di una vera
messa in scena, del connubio tra il mito, la storia, la biografia e
l’attualità , in cui tutto cessa di essere archiologia del sapere, dell’apprendere,
del comprendere e diventa, sostanza di una alterità, che è rituale e alchemica.
Nel colore, si tracciano, si salvano, si risolvono, tutte le luminescenze,
le armoniscenze e le turbolenze del frontespizio pittorico,con una
qualità moltiplicante, che in alcuni momenti , costituisce un turbamento è in altri , un rassicuramento,, in
una scambievolezza tonale,che non
ha mai punti di separazione o giustapposizione, ma sempre trasposizione ideale.
Totalmente astratti sono i momenti in cui il salimento, fantastico
raggiunge le vette metaforiche, perché mla visibilità si è fatta alta,
rarefatta, con una attenzione del dato sensoriale e un fervore
di quello puramente mentale, che, però, non è mai freddo , meccanico,
numerico, ma emozionale, partecipativo, musicale; cercando e trovando
motivi di una sua propria formalità, non rapportabile a morfologie
mimetiche, ma fruttalità edeniche, di un pensare che insiste su se stesso ,
diventando genesi di forme non forme e di colori che si
assumono le responsabilità della liberazione fantastica della tecnica
e della poetica, in una entità, che ha solo rafficurazioni nebulari,
stellarioppure oniriche, in quella forma che le culture magiche
mettono in rapporto con la profezia, con la divinazione, cosi
una tonante affermazione della negazione , perché il tutto avviene
in una forma e in un modo che, sembra normale, ma in effetti è
totalmente surreale,effetto di un lampeggiare, in opera del minimale.
Strutture e soggetti, sono quelle della quotidianità, della mitologia, della
metamorfosi, in un concerto, in cui è l’invisibile che gioca una melodi
coinvolgimento, di trasgressioni, di socializzazioni in un continuum,
in cui non si svolgono fatti o si leggono vicende, ma si scandiscono
vibrazioni, contrazioni ed espressioni, anche quando tutto sembra statico
immobile. Qui tutto si svolge ad una constatazione di ricerca, dove
non c’è mai niente di definitivo, ma tutto è assunto come energia di
un invisibile, che attento si nega alla vista, ma è solo apparenza, perché
in effetti è l’anima, che non batte, ma che ha cuori, che non vede, ma ha vista.
Selinunte e Roma, sono una sua metafora della vita, a cui non si può e non
si deve sfuggire, pena la caduta in uno limbo, in una precarietà senza fondo,
che non permette, in sua assenza, di essere proiettivi, inventivi, portati ad
avere una genitività pienamente umana. Nel romanzo un artista,,la prima
è l’alba di tutto, la formazione dell’immaginario, la possibilità di
operare uno scambio simbolico, con tutto quello che esso comporta, nella
uscità dall’ordinarietà, la seconda è l’atmosfera della maturità,
quello in cui avvengono le scelte , le consapevolezze, le poetiche, ma anche
le passionali, gli automatismi, architettualità, facendo dell’uno, l’altro.
Spazio Curvo è come essere dantesco e post moderno, con una
parte paradossalità, che è il suo senso dell’arte, che è contemporanea
sempre in quanto non conosce confini, riuscendo ad essere, nella stessa
stagione fantastica, in tempi diversi, in luoghi diversi, perché cosi chiede
quell’amore indefinibile che viene dall’alternarsi di spirito saturnico e
rossalità solari, avendo l’implicazione dell’essere nel tempo, con
le sue angosce e tristezze, con quello nell’eterno ritorno, per cui si
sentono le sirene che cantano, ma anche i clamori delle chimere, infirezza,
per cui ogni cosa viene risolta (ma,in effetti, è sin divenire) con forza
di intuizione, che è il terzo occhio della nostra umanità, sulla china
di un sapere di non sapere, che è itinerarium mentis ad deum.Sempre.
La querelle della cronologia , si incontra con quella dell’agan e del
Kairos, creando una circuitazione di fascinosa suadenza, per cui il tempo
biografico dell’artista si mescola con l’apparizione delle opere, venendo
a formare un precipitato alchemico senza tempo, con una affinità elettiva
che lo porta a mischiare le carte in una attualità, che non ammette revoche,
presentandosi come thesaurum, da salutare con attenzione all’uno , ma
tutta la sua ricchezza, che è intensa, intensiva , in una sinteticità tutta
dinamica ,quanto statista, in una paradossalità , che è poetica, lirica, inebriante.
FRANCESCO GALLO MAZEO